Non è proprio la fine, ma poco ci manca. Possibile fare alcune considerazioni sul progetto MACRO ASILO senza nomi e cognomi o regolamenti di conti? D.A.P.A. pensa di sì! Che siate pro-asilo o anti-asilo a noi non importa tanto. Immaginiamo che a voi non importa tanto che a noi non importa tanto. Ma poco importa. Tant’è: il Macro Asilo ha in ogni caso rivitalizzato il dibattito su alcuni temi, quali ad esempio, la funzione del museo, quella del curatore e quella dell’artista; il rapporto tra arte e non-arte, il ruolo dello spettatore. 

In modo del tutto affettuoso vogliamo qui riunire, a partire da alcune disposizioni formali, quelli che riteniamo essere, a torto, alcuni spunti critici dell’Asilo.  

L’INFORME
Vero è fino a prova contraria che questo Macro Asilo appare come un’anomalia rispetto al panorama museale, nazionale e internazionale. Qui il museo non è esclusivamente battezzato dal “non-toccare”, bensì è un essere informe che necessita della manipolazione attiva e creativa sia dell’artista che del visitatore. È un rapporto di dipendenza tra demiurghi. Se uno dei due non adempie al proprio ruolo lo sbilanciamento è assicurato: avremmo stanze vuote in attesa di qualcosa che potrebbe accadere. È un patto d’intesa, una tacita alleanza politica che funziona finché una parte sostiene l’altra. 

IL SETACCIO 
«Tu sì, tu no, tu sì, tu no». «Io ci metto il concetto!». Non è così nell’Asilo, dove sono affidati dispositivi scenografici e ambientali pronti all’uso. Il curatore come filtro, come esperto che seleziona e accompagna l’opera, scompare o, perlomeno, è ridimensionato. L’artista si presenta in ospedale, si autoinfligge il ricovero, ma nessuno lo cura. Gli viene data una stanza, gli sono accordati permessi di visita e orari di svolgimento delle sedute. All’Asilo la terapia è modulata secondo le prescrizioni del malato: un capovolgimento che, chissà, potrebbe aprire a nuove vie di guarigione. 

IL PALINSESTO
Le attività dell’Asilo non possono essere seguite tutte. Qui una prima responsabilità del visitatore: decidere a cosa contribuire. Le attività hanno il ritmo della simultaneità tipica delle relazioni Web 2.0. Del resto questo museo, avendo accelerato ed espanso il paradigma selettivo, si propone come palinsesto dell’amatore, facendo dell’Asilo anche il luogo del gioco occasionale, della baggianata, dell’intrattenimento, del cliché, del tentativo. Quante volte si è sperato nell’ubiquità? Quanto spesso abbiamo fatto zapping tra le lectures, le lectio magistralis, gli atelier e gli ambienti? Per quanto tempo siamo rimasti dentro uno spazio o ci siamo semplicemente svagati come parentesi tra un evento e l’altro? Quante giornate intere abbiamo trascorso dentro il “museo ospitale” come seconda casa? Per quante invece ne siamo stati assenti, non attratti dall’offerta e venendo meno al nostro patto? Che poi, chi è che l’ha davvero stipulato? Dov’è il mio libretto delle presenze, la mia firma sul contratto?

L’ORGANICO
Il Macro Asilo apre all’imprevisto. Tesse relazioni e dà modo di trovarsi-e-ri-trovarsi. L’Asilo – come d’altronde sui banchi di scuola – come luogo della socialità, cadenzata nella durata di un saluto, nella condivisione di qualche ora o nel tempo dilatato della conoscenza a lungo termine, che va persino oltre il suono della campanella. Punto di aggregazione, ambiente momentaneo in continuo allestimento (smonta, prendi il microfono, accendi le luci, gli operai che vanno avanti e indietro tutto il giorno), catalizzatore di situazioni effimere ad alto ritmo, senza una direzione precisa se non quella di andare, procedere, crescere, morire – come noi, persi nella vita organica. Ma anche il Macro dovrà pur evacuare, nevvero?

DIADEMA
Certo, i nomi-spot hanno dato un respiro internazionale a via Nizza. Tappeto rosso. Mi dicono che ci vuole sempre qualcosa che luccica. Pailettes. Però è bello vedere le sale piene, suvvia. Le lectio magistralis sono state anche un modo per dire “ao ana’capito’naca!” ed hanno ricostruito alcuni percorsi, ri-tracciato alcune storie, modulato talune retoriche. Ma quanto è stato investito sulle grandi personalità? Certo sono stati un prezioso richiamo, anche alla luce della loro eco mediatica. E quali criteri hanno guidato la comunicazione e la sponsorizzazione di alcuni eventi? Privilegiati i “diademi”, è accaduto che iniziative come laboratori e progetti con termini più dilatati – radicati quindi nella quotidianità dell’Asilo – dovessero autogestirsi su questo fronte, nell’impossibilità dello staff di poter dare la medesima visibilità a tutti nel continuo girare dell’ingranaggio di un calendario frenetico. Un paradosso inevitabile, di certo da gestire, per quanto migliori siano state le intenzioni a monte. 

CONIO
Gratis. Per tutti, indistintamente. Per il visitatore, per l’artista momentaneamente occupante e/o residente. Ma a che prezzo?

IL RADICALE
Uno spostamento-in-là che sembra un atterraggio in un’alta-altra-pianura dove scorrazzare e sovvertire ma solo perché siamo comunque all’interno di un’istituzione museale vecchia, no, decrepita, no, già morta? Altri spazi e altre vie, magari già sono e sono state altamente “oltre”, sperimentando fuori i riflettori e fuori controllo? Non è che il Museo Macro sia solo l’istituzionalizzazione, la cristallizzazione, l’incagliamento, di processi e movimenti che da tempo alimentano, rinegoziano, spostano, confondono i limiti del “fare-aggregativo” in modo autonomo e originale? «Vabbè», mi dicono, «E se pure fosse? Mejo de niente e comunque mejo tardi che mai». Controcultura → cultura, Controcultura → cultura, Controcultura → cultura… e così via, in loop, all’infinito.

L’EMANCIPATO
C’è da chiedersi se siamo allora allo spettatore emancipato. O se siamo ancora lontani. Emancipato come? E uno spettatore emancipato non potrebbe (dovrebbe) spingersi oltre la propria responsabilità? Prendere gli spazi e autogestirli collettivamente? Perché tanti spettatori emancipati ci hanno detto di voler occupare il Macro Asilo. Ma noi gli abbiamo detto che non si può. Non stiamo all’asilo e questo non è un asilo. Le istituzioni museali pubbliche non si occupano. O no? 

P. S. [Post Spatium]: E se l’Asilo avesse aperto la strada a un Nero? Così è, se vi pare. Vedremo, vedremo. O parteciperemo, parteciperemo?

Testo: Arianna Desideri, Jacopo Natoli
Foto: Jacopo Natoli
[28 ottobre 2019]

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