«Nelle pagine che seguono, il mio intento è stato piuttosto quello di descrivere il resto: ciò di cui normalmente non si prende nota, ciò che non si osserva, ciò che non ha importanza: ciò che succede quando non succede niente, se non il tempo, le persone, le macchine e le nuvole»

(George Perec, Tentative d’épuisement d’un lieu parisien, 1974)

George Perec, place Saint-Sulpice, XVI arrondissement, Parigi, ottobre 1974. Seduto in diversi luoghi della piazza, lo scrittore francese annota tutto ciò che il suo sguardo riesce a captare: non insiemi macroscopici, vedute a volo d’uccello, ma dettagli apparentemente insignificanti, che sfuggono agli osservatori abitué e ai flâneurs più distratti. Tre giorni (venerdì 18-domenica 20 ottobre 1974) di acuta ispezione del marginale, dell’interstiziale, dell’impalpabile:

Sul marciapiede, c’è un uomo scosso, ma non ancora sconvolto, da dei tic (movimenti della spalla come se sentisse un continuo prurito al collo ); tiene la sigaretta come la tengo anch’io (tra il medio e l’anulare): è la prima volta che scopro questa abitudine in un’altra persona.

Le annotazioni, gli elenchi, l’inventario prende forma in Tentative d’épuisement d’un lieu parisien (Tentativo di esaurimento di un luogo parigino), una cinquantina di pagine circa in cui Perec sfida il linguaggio verbale e la possibilità di articolare la realtà sin dentro i suoi aspetti infinitesimali, inutili ai più. Un “esaurimento” come impresa potenziale, un horror vacui della descrizione per testarne i limiti in rapporto al visivo, alla visibilità, alla visione. Il depositarsi sulla pagina di impressioni au hasard, di ambiances colorate, di traiettorie, di conversazioni lasciate a metà.

Christoph Verdon, placca stradale in onore di George Perec a 30 anni dalla morte, 2012. La sottrazione delle “e” è un omaggio al romanzo La disparition, 1969, in cui Perec non utilizza mai questa vocale.
Omaggio di chi scrive a Perec e Verdon, con la “disparition” reintegrata, 2020.

In questi giorni di lock-down globale a causa della pandemia da Covid-19, la Prof.ssa Antonella Sbrilli ha proposto agli studenti del suo corso Stare al gioco (Storia dell’arte contemporanea, laurea magistrale in Storia dell’arte, Università di Roma Sapienza, a.a. 2019-2020) di rivisitare il modello di Perec guardando fuori dalla finestra del proprio appartamento, alla ricerca di input spaziali, frammenti dimenticati, percezioni retiniche e sinestetiche inedite. Un’osservazione lenta, dilatata, ma quanto più possibile densa, penetrante, condotta fino alla saturazione della parola.

Per due giorni (28-29 marzo 2020) la finestra della mia stanza è stata l’oblò attraverso cui scrutare dolcemente il paesaggio deserto, sospeso, dormiente, privo di presenze umane. Eppure, se avessi potuto attraversare i muri, chissà quante formiche indaffarate e annoiate avrei potuto descrivere nei loro gesti più banali e inattesi, in questi tempi isolati.

Da dieci minuti prima del tramonto al buio, ho annotato variazioni di luce, suoni, elementi percepiti au hasard, colori, unendomi a Perec nella disperata e curiosa descrizione della realtà, questa volta al di là di una finestra della periferia romana. Nell’impaginato grafico, un altro tentativo di esaurimento: la pagina.

Un po’ alla Perec, di certo non a Parigi, pur sempre a casa.

E allora, perché non ti unisci
a questa impresa impossibile eppure potenziale?
Dalla tua finestra, ad osservare una città che dorme anche di giorno.

[marzo 2020]

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